29 novembre 2008

"Memorie e Microcosmi"


LE OPERE DI QUESTI RAGAZZI SONO
INASPETTATE E BELLISSIME!!!
NE VALE VERAMENTE LA PENA



Collettiva degli artisti: Igor Imhoff - Silviya Radeva - Federica Menin
a cura di: Emanuela Vozza e Matteo Efrem Rossi presso Giudecca 795 Art Gallery
dal 29 novembre al 13 dicembre 2008 - ingresso gratuito
Vernissage sabato 29 novembre 2008 - dalle ore 18.00
-> Sito ufficiale della mostra Memorie e microcosmi
Orari: da martedì a domenica - ore 15.30/20.00
Visite fuori orario su appuntamento | chiuso il lunedì
Ufficio stampa “Memorie e Microcosmi”: aece@libero.it | 328.5729493 – 333.5982859
Giudecca 795 Art Gallery: Fondamenta S.Biagio 795, Giudecca – Venezia | Tel. 041.7241182 – 340.8798327
Catalogo a colori edito e distribuito da Toletta Studio LT2 (Progetto Accade 2008)

ACCADE 2008 è un progetto realizzato con il contributo della Regione Veneto, promosso dall'Associazione Culturale Attivarte in collaborazione con Galleria A+A - Centro Espositivo Pubblico Sloveno, Assessorato alle Politiche Giovanili e alla Pace del Comune di Venezia, GAI – Archivio Giovani Artisti Italiani del Comune di Venezia, Fondazione Bevilacqua La Masa, Accademia di Belle Arti di Venezia e Galleria Contemporaneo di Mestre.

A fronte di una contemporaneità sovrabbondante, nel soffocamento della sensorialità generato dalla sovrastimolazione estetica, l’antico horror vacui si ribalta oggi in un inedito horror pleni. Tre artisti in questo ambiente saturo sembrano voler creare nuovamente un vuoto, un vuoto interiore di tempo e di spazio che si percepisce a monte delle loro opere, come un sostrato fertile.
Pur con diversi approcci, con diversi mezzi espressivi, Silviya Radeva, Federica Menin e Igor Imhoff puntano a quell’humus rappresentato dall’interruzione del tempo lineare. Ciò che ne emerge sono apparizioni sull’orizzonte di un mondo interiore che si compongono ordinatamente; microcosmi privati, mondi fluidi e silenziosi in lenta, inesorabile mutazione: mutazione biologica, fisiologica, psicologica.
Nonostante la coesione interna, le loro opere rivelano una costante tensione verso l’indefinito, ciò che passa e si cancella, ciò che rimane nascosto allo sguardo. L’ambiente rarefatto, spoglio, scarnificato dagli orpelli della contemporaneità, si veste di memorie complesse.
Sono, infatti, microcosmi che nascono da un’operazione di recupero, di riemersione del passato: un passato prossimo – il salotto ottocentesco di Silviya Radeva –, un passato più distante – Federica Menin e gli interni fiamminghi – un passato più che remoto, archetipico quello di Igor Imhoff, che raccoglie tracce antiche per riproporre con mezzi tecnologicamente contemporanei segni remoti, come graffiti rupestri.
Non si tratta, tuttavia di revival più o meno nostalgici dei tempi andati: il passato affiora qui insensibilmente e appena riconoscibile da una memoria profonda, che lo ha digerito e lo rende disponibile a diventare materia prima per una nuova personale narrazione, per tessere una sorta di geografia privata in cui nuovamente orientarsi.
Sono sempre geografie emotive, mappature familiari ma mutevoli che, distanti ormai dalle mappe bidimensionali dei navigatori antichi, contemplano uno spazio a quattro dimensioni in cui il tempo gioca un ruolo fondamentale.
Il tempo è infatti una venatura interna alle opere, che improvvisamente dilatandosi o snodandosi in forma circolare suggerisce lo scorrere di una vita minima, sussurrata più che declamata, da cogliere in un’osservazione silenziosa, col fiato sospeso.
Questi microcosmi sembrano aver espulso la presenza attiva dell’uomo. Rimangono solo oggetti quotidiani che si caricano di tensione emotiva o simboli antichi dal significato ambiguo e mutevole. L’umanità, ridotta a ciò che rimane inerte, o ridotta a simbolo, virtualizzata in una presenza-assenza, genera ancora una volta un vuoto che dall’opera d’arte chiama, chiede la nostra personale partecipazione, quasi a fare da contrappeso a questa mancanza.
Non prevale quindi il nichilismo, l’incapacità di comprensione e comunicazione. Viceversa, la possibilità di riconoscere quasi ad istinto la sostanza intima e personale da cui si genera l’opera apre un dialogo più profondo con questi paesaggi interiori tutti contemporanei in cerca di nuovi codici da stabilirsi su nuove lunghezze d’onda.

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