28 novembre 2008
3 artisti 3: Memorie e Microcosmi
S i l v i y a R a d e v a
Cresciuta in Bulgaria, formatasi all’Accademia Nazionale di Sofia (Department Print Graphic), nel 2003 approda a Venezia per frequentarne l’Accademia di Belle arti e focalizzarsi sul mezzo pittorico. La pittura è oggi il linguaggio elettivo cui si affida l’immaginario di Silviya Radeva.
Fra le sue opere, l’attenzione si sofferma necessariamente su una serie di otto dipinti, le “stanze”, stanze di un sogno sospeso in una materia densa.
Acrilico e bitume per impastare e modellare un mondo rarefatto che si affaccia sulla superficie del dipinto, sempre al limite fra l’apparizione e la sparizione.
Sulla pelle della pittura incisioni e slavature animano un microcosmo in silenziosa mutazione, che racconta una scena familiare, sempre la stessa, con poche variazioni.
Una stanza, una poltrona e il lampadario: il salotto.
Lo spazio del dialogo o della meditazione, lo spazio della musica e delle letture private, quel luogo che nell’Ottocento diventa il centro del mondo separato dal mondo, microcosmo intimo e fertile, torna in superficie grazie ad una memoria che ne ha selezionato solo gli elementi primari, dissolvendo tutto quel che resta.
Minimizzata all’essenziale e soprattutto svuotata della presenza umana, la stanza si carica di tensione emotiva e i corpi inerti degli oggetti sembrano trarne energia vitale, entità sospese in uno spazio denso.
Le incisioni sulla materia pittorica ridondante tracciano percorsi che quasi riusciamo a leggere, si tratta di una proto-scrittura, il gesto infantile recuperato per descrivere una lingua in divenire.
Sono opere che invitano l’osservatore a sincronizzare il respiro sul passo dilatato del tempo in stallo, a tendere l’orecchio verso quella conversazione sospesa di un’umanità rimasta impigliata ai pochi oggetti stereotipati del salotto.
F e d e r i c a M e n i n
Giovanissima artista feltrina, nata nell’87, oggi iscritta alla Facoltà di Design e Arti di Venezia, Federica Menin si rivolge all’arte con l’istinto onnivoro di chi è in cerca della propria identità.
In un’attività quasi frenetica di sperimentazione di tecniche e soggetti differenti, si pone come primo risultato sorprendente la serie di fotografie intitolata “S-vista”.
Una serie che risulta da un gesto unico teso a catturare, fin nel minuto dettaglio, la vita interiore di un luogo abbandonato, svuotato. Una sensazione da conservare in una forma minimalista, con un mezzo quasi retrò. All’affidabilità della tecnologia digitale, l’artista preferisce infatti la familiarità di una semplice macchina fotografica analogica.
Fotografie 10 x 15, come piccole memorie tascabili, memorie di un viaggio in luoghi quotidiani. La carta fotografica stampata diventa, così, il limite della memoria al di sopra della quale riemerge un mondo delicato, la cui intimità è appena corrosa dal trascorrere del tempo. un mondo sospeso sul filo della luce che filtra dalle finestre, come in un dipinto fiammingo, teatro di un minuto mondo biologico in lenta mutazione.
Il mondo luminoso, presente e vivo rimane fuori da questi spazi svuotati. Il microcosmo è chiuso, interiore è lontano, spostato nel tempo in un passato indefinito. Porta ancora le tracce dell’umanità che l’ha vissuto, ma i lacerti di sguardi subito scompaiono oscurati da una banda nera.
È il mezzo che nega se stesso. Un segno che non si genera dal gesto, dall’azione dell’uomo, ma deriva dall’errore controllato della macchina. La macchina fotografica che nasce per catturare l’immagine viene calibrata in modo tale che parte di quella stessa immagine venga obliterata, negata all’occhio, ma offerta ad un processo di correzione mentale.
Il percorso presenta quindi degli interrogativi, la mappa è incerta, l’opera si ritrae lasciando spazio al vuoto.
I g o r I m h o f f
Il più maturo dei tre artisti è Igor Imhoff, pugliese d’origine diplomato nel 2001 all’Accademia di Belle Arti di Foggia. Un artista con alle spalle già numerose mostre in Italia e all’estero e alcuni importanti riconoscimenti (premio di pittura “Bruno Mazzi” 2000, premio di pittura “Felice Casorati” 2004, vincitore sezione cortometraggi internazionali “Mestre Film Fest” 2005).
Con Igor la memoria sprofonda nei recessi dell’inconscio. Coglie a piene mani dagli archetipi e come un demiurgo crea microcosmi carichi di simboli ambigui e mutevoli.
“Percorso#0007-0308” . Una tecnica raffinatissima, padroneggiata senza ostentazione, una felice fusione di esperienza pittorica e animazione digitale. Ogni opera nasce da un gesto manuale: circa 300 disegni vergati a mano su carta, introiettati dall’hardware e digeriti dal software, riemergono sullo schermo mutati in un flusso vitale.
Le immagini in movimento, frammenti di memorie collettive, mantengono la forza del graffito rupestre, sfuggendo ad ogni tentazione di mimesis. Ogni percorso è una proiezione in un mondo dominato da forze oscure che suscitano ineluttabili ma lievissimi eventi concatenati, perfettamente in sincrono con una musica cristallina, come una sinfonia di grotte sotterranee che stillano gocce d’acqua o liquidi extraterrestri. In questo microcosmo che si snoda orizzontale e paratattico, in cui gli elementi si concatenano in modo lineare e quasi naturalmente consequenziale, tutto si tiene unito secondo le leggi delle costellazioni. Attrazione e repulsione, sprofondamento e riemersione, come il respiro di un’umanità e di una natura riportate al loro archetipo.
Scorrendo di fronte all’osservatore, il video riesce a suscitare lo stupore di una moderna lanterna magica, che giunta alla fine del racconto stilizzato, ritorna al suo principio. Il tempo si chiude quindi attorno al microcosmo, che altrove continua la sua vita, sempre ambiguamente uguale a se stessa.
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